Intervista sul digital divide

DNews-Digital Divide Intervista Bennato

Qualche giorno fa ho avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con il mio amico giornalista Angelo Di Mambro (DNews) sul tema del digital divide in Italia.

Lo scopo della chiacchierata è stato quello di provare a fare una riflessione sulla carenza di hot spot in Italia.
E’ un esperienza che – credo – ci accomuna un po’ tutti: perchè in giro delle città italiane non sono disponibili punti di accesso ad internet senza fili (wi-fi) attraverso cui svolgere le proprie attività online?

La domanda è delicata in quanto in un periodo come il nostro in cui lo spazio fisico, lo spazio sociale e la dimensione tecnologica collidono, l’impossibilità di un accesso libero alla rete in forma nomade è un limite non solo alla libertà di informazione ma anche alla cittadinanza attiva (per inciso: su questo tema ho scritto in un saggio su wardrivers e valori che essi esprimono)

Nessuna polemica con gli operatori di TLC mobili che con la vendita delle chiavette HSDPA fanno il loro lavoro, ma sarebbe opportuno che ci fosse una differenziazione del mercato tra l’accesso da libero cittadino e l’accesso da libero consumatore (connessione stabile, banda garantita e altre commodity).

Comunque le mie riflessioni le trovate nel pezzo pubblicato nell’edizione di ieri 4 maggio e che potete leggere qui sopra (da qui potete scaricare il numero completo), assieme a quelle di un personaggio importante della scena sull’innovazione italiana come Fiorello Cortiana.

A proposito di innovazione: tra un po’ metterò online la mia presentazione prodotta per il Working Capital Camp che si è svolto a Catania lo scorso 29 aprile.

Mi raccomando: commenti! 🙂

5 thoughts on “Intervista sul digital divide

  1. Ciao Davide,
    il pezzo coglie un problema che non passerà mai di centralità nella triste situazione tecnologica italiana. Personalmente resto convinto che il decreto Pisano, con la sua complessità e la sua completa insensatezza, sia resposnabile per il 90% di questa situazione. Il perchè è molto semplice: alza all’inverosimile i costi di gestione di una tecnologia che, altrimenti, avrebbe costi molto più bassi ed introduce il rischio effettivo di sovrapposizione di servizi (se non devo registrarmi ad un servizio tutte le volte… il rischio della sovrapposizione si azzera).
    La cosa incredibile è che questo decreto assurdo è ancora in vigore a fare danni dopo tanti anni. E le voci “contrarie” sono sempre troppo poche. Questa (la sua esistenza) è la vera grande sconfitta della web2-sfera italiana, la nostra (per non dire che uno si tiri fuori) vera grande sconfitta.

  2. Caro Luca,
    sono d’accordo col tuo commento amaro.
    Anch’io penso che un paese che abbia fra le sue leggi il decreto Pisanu è un paese che non ha dimestichezza con la libertà di espressione, digitale ma non solo.
    Per quanto d’accordo con la necessità di una sicurezza nelle comunicazioni, non credo che un decreto siffatto impedisca a chi vuole di delinquere, trattenendo nelle sue maglie la cittadinanza che potrebbe essere attiva.
    Si: è un fallimento della web2-sfera, di noi che agiamo dentro questi spazi sociali, soprattutto perchè i social media sono andati via via trasformandosi in un modo per parlarsi addosso e cercare meccanismi di istituzionalizzazione “a basso costo”, senza trasformarsi in un vero movimento culturale in grado di sensibilizzare la società intorno.
    Credo però che a questo punto la palla passa all’Università, ora più che mai necessario luogo di riflessione e sensibilizzazione sui temi che ci stanno a cuore.
    Nel mio piccolo ci sto lavorando, ma non ti nego le difficoltà che sto incontrando.

  3. A proposito di università, un contributo non indifferente all’uso della connessione wi-fi viene dagli atenei. Ormai quasi tutti gli atenei si sono dotati di connessioni wireless che possono essere utilizzate dagli studenti, dai docenti e dal personale universitario. Ci si collega dalle aree pubbliche, dai laboratori e dalle biblioteche. Segnalo il sito della Sapienza: sapienzawireless.uniroma1.it

  4. Concordo pienamente: l’unico limite è che per accedere a queste reti bisogna essere già accreditati come docenti. Questo vuol dire che se vado all’università di Bologna – dico per dire – invitato da un collega di quelle parti, non potrò collegarmi alla rete del suo ateneo se non dopo una lunga trafila burocratica.
    Non mi sembra un invito all’accesso, così declinato.

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